PINO PINELLI

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BIOGRAFIA

Pino Pinelli (Catania, 1938) si avvicina alla pittura nella città natale di Catania, dove ottiene anche i primi riconoscimenti, ma giovanissimo si trasferisce a Milano, affascinato dal dibattito artistico di quegli anni. Dai primi anni Sessanta entra in contatto con i maestri Lucio Fontana, Piero Manzoni ed Enrico Castellani, per citarne alcuni, ed inizia a sviluppare una concezione di pittura innovativa e personale. La sua riflessione si concentra infatti sull’analisi dell’atto sperimentale e del fare pittorico per raggiungere l’essenza della pittura. Risale al 1968 la prima mostra personale alla Galleria Bergamini.

È però negli anni Settanta che approfondisce la sua ricerca, concentrandosi sul nesso tra la tradizione e l’innovazione per mettere in risalto l’importanza della superficie pittorica e delle vibrazioni della pittura, nel tentativo di cercare una profondità e attraversarla. A questo periodo risalgono i cicli delle Topologie e dei Monocromi, dove la superficie riflette una sottile inquietudine, quasi a dimostrare il respiro della pittura stessa. In questo modo, Pinelli diviene uno dei protagonisti della corrente della Pittura Analitica, la quale si proponeva di salvaguardare le incredibili capacità espressive della pittura, di porre la pittura al centro dell’indagine artistica e di perdere ogni connotato referenziale. Infatti, gli artisti del movimento si sono concentrati sull’analisi delle componenti materiali della pittura e del rapporto materiale tra l’opera come oggetto fisico e il suo autore. In questo contesto, le opere di Pinelli si sono distinte per la prevalenza di monocromi e per la disseminazione, ossia la rottura del quadro e della collocazione di frammenti in diversi punti della parete. Pinelli ha abbandonato la tela e il telaio, prediligendo la pelle di daino e riducendo le dimensioni delle opere, concentrandosi così pienamente sul concetto stesso di pittura.

Ciò che mi interessa nell’insieme di questa mostra, è il presentare queste differenti tipologie di fratturazione del monocromo perché credo che nella frattura del monocromo, nello spazio e nel momento in cui questa frattura avviene, sta per realizzarsi qualcosa di nuovo nell’arte che non ha nessun contatto con questo ”Meccanismo Minimalista” che finora abbiamo visto troppo e che per il nostro bene dobbiamo allontanare. (cit. Bernard Lamarche-Vadel in occasione della mostra Fractures du Monochrome aujourd’hui en Europe, Musée d’art moderne de la ville de Paris, Parigi, 19 giugno – 18 settembre 1978)

Nel corso degli anni, le forme e i materiali delle sue opere si sono trasformati, ma sono sempre rimasti fedeli all’aniconicità: ha sviluppato una tecnica mista attraverso vari materiali amalgamati e ricoperti di velature di pittura, quasi ad alludere a una pelle pittorica tattile. Al di fuori delle etichette di “Pittura Analitica”, le opere di Pinelli rappresentano dei corpi pittorici inquieti che vagano fluttuanti nello spazio e che, attraverso i materiali duttili con cui sono realizzate, esaltano la fisicità del colore e delle vibrazioni luminose del materiale.

Su queste pelli di daino naufraga, per Pinelli, la concezione di una pittura che riconosce come propria sede l’area delimitata del quadro. Si apre al contrario la prospettiva di una pittura in perenne migrazione, nell’interminabile spazialità fenomenica. Un’uscita dal quadro che non è negazione della pittura, ma una sua differente concezione. Diversamente inseguita ed essa stessa inseguitrice di uno spazio sempre assorbente e mai compiuto, la pittura si contrae per espandersi sembra negarsi ma per potersi ancor più affermare. (cit. Giovanni Maria Accame, in Pino Pinelli, continuità e disseminazione, Lubrina editore, Bergamo 1991, pag.16)